domenica 13 settembre 2015

Recensione 'Mi sa che Fuori è Primavera' di Concita De Gregorio


Buongiorno lettori, il libro di cui oggi vi propongo la recensione è entrato nella mia vita silenziosamente, in punta di piedi, ma le emozioni che mi ha provocato sono indescrivibili. Non sono in grado di spiegare a parole quello che ho provato. Proprio per questo motivo lascerò che le mie mani scorrano libere sulla tastiera del mio computer, in modo da non riflettere ma scrivere un po' così, di getto.
Spero che questa lettura riesca ad emozionarvi, così come è successo a me!





Mi sa che fuori è primavera
Concita De Gregorio


Editore: Feltrinelli - Genere: Letteratura Italiana
Pagine: 128 - Prezzo: 13,00 € - eBook: 9,99€


Ferite d'oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un'antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore. Questa è la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia e l'ha vinta. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. Un marito, due figlie gemelle. È italiana, vive in Svizzera, lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina. Il matrimonio finisce, senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l'uomo si uccide. Delle bambine non c'è più nessuna traccia. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un autentico thriller psicologico e insieme un superbo ritratto di donna, coraggiosa e fragile, Irina conquista brandelli sempre più luminosi di verità e ricuce la sua vita. Da quel fondo oscuro, doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l'amore che salda e che resta.



È sorprendente il potere che hanno i libri, o, più in generale, la scrittura. Riescono a parlare liberamente, senza barriere. Se poi si tratta di fatti di cronaca realmente accaduti, come in questo caso, arrivano a svelare particolari di cui non si era a conoscenza, a mettere a nudo una realtà che era stata, in parte, celata, occultata. Tutti ricorderete Alessia e Livia e cosa è accaduto loro, o meglio cosa non è accaduto perché in realtà, ancora oggi, rimane uno dei casi di cronaca avvolti in una fitta coltre di mistero. Sappiamo per certo che sono state portate via da un uomo, Mathias, il loro padre, e da quel 30 gennaio 2011 non se ne è saputo più nulla. L’uomo si è poi suicidato.

Ora dal di fuori sembra una storia come tante, ognuno, all’epoca si sarà fatto la propria idea arrivando alla conclusione che anche le gemelline fossero morte. Ma, per un attimo, immaginate di trovarvi nella storia, di impersonare il ruolo di una persona che ha vissuto e continua a vivere tutto quello che è accaduto. Di una persona che vive sì nell’assenza, ma anche nella presenza; una donna che continua a porsi delle domande alle quali non trova risposte; una donna, una madre, Irina.

“Mi sa che fuori è primavera” è un libro prorompente, che irrimediabilmente segna chi lo legge, un libro che si fa strada nella vita del lettore e lo porta a riflettere, a immedesimarsi in Irina, a provare le sue stesse emozioni, i suoi stessi dubbi, a trascorrere quelle poche ore di lettura come se si fosse completamente investiti dai fatti, dalle sensazioni. Si combatte una battaglia insieme a questa donna guerriera, una battaglia che ancora oggi chiede la verità, nient’altro che la verità. Attraverso le lettere scritte da Irina e gli incontri con l’autrice, si delineano i tratti di un personaggio che non è assolutamente immaginario, inventato, è un personaggio che esiste realmente, una persona che potremmo incontrare semplicemente aprendo la porta di casa nostra, perché di persone che vivono un dramma del genere, di Irina, ce ne sono tante ma noi neanche lo sappiamo.

La scomparsa delle gemelline è, ma allo stesso tempo non è, il tema fondamentale attorno al quale ruota la vicenda, nel senso che si analizza ciò che è avvenuto prima, nel durante e dopo. Irina si presenta dalla scrittrice con l’intento di rimettere insieme i cocci, i frammenti di quello che è accaduto, per fare chiarezza, da una parte, ma anche “...per tenerlo accanto, portarlo in borsa...”, portarlo fuori da se stessa. Parlarne diventa quasi un bisogno, così come l’essere ascoltata. Insieme ricostruiranno l’intera vicenda, per quanto possibile, mettendo in luce l’incoerenza e quasi l’incapacità nel condurre le indagini nella maniera corretta, nell’unico modo che sembrerebbe palese anche al lettore meno esperto. Il personaggio di Irina è caratterizzante. Una donna in carne e ossa. Una donna forte che si troverà a fare una scelta difficile, separarsi dall’uomo che ha tanto amato, un uomo che ad un certo punto sembra quasi impazzito, divenuto meticoloso e pressante, che la considera incapace di badare alle proprie bambine tanto da lasciarle, continuamente, istruzioni sui post-it che attacca in giro per casa. Per essere sicuro che tutto avvenga come lui considera giusto. Ed è proprio questa scelta di separarsi che, secondo la polizia, sarà la causa della incredibile decisione presa da Mathias. Quasi che Irina, da vittima, si trasformi in responsabile del gesto, indirettamente nel carnefice.

Il tema ricorrente è quello dell’assenza, della mancanza, dell’incapacità di pensarle morte, inarrivabili, nonostante non ci siano prove per pensare il contrario. “La presenza di chi manca è un assedio... una battaglia continua...”, si legge tra le pagine. Perché, a differenza di altri fatti di cronaca o della morte in quanto tale, nello specifico non ci sono dei corpi sui quali poter riversare le proprie lacrime, la propria sofferenza: “...più doloroso di non avere accanto chi si ama c’è solo non sapere dov’è, chi si ama. Non avere neppure il suo corpo da immaginare che cammina altrove...” Eppure in questa assenza, in questa mancata presenza, un barlume di speranza, un nuovo amore, di quelli che ti si legano all’anima nella sofferenza, di quelli che non tolgono niente a quello che è stato, di quelli che “...ti tolgono lo zaino dalle spalle quando pesa troppo, nella marcia...”. Accanto a tutto ciò il coraggio di riprovarci, sempre e comunque. E allora me le immagino, prendersi per mano, alla fine del loro incontro e uscire a fare due passi, perché, nonostante tutto il dolore che ci si porta dentro, c’è la probabilità che fuori sia primavera.

"L'amore non si dimentica di te anche quando tu lo ignori. Torna, bussa. Se non rispondi ti porta a fondo. Devi averne un po' paura, ma più di tutto devi mostrargli il tuo coraggio. Devi esserci, quando chiama. Devi essere lì a prenderti cura di lui. Solo se lo lasci libero di andare puoi vederlo tornare."

Ho amato profondamente questo libro nel quale mi sono imbattuta in maniera del tutto casuale. Credo che il motivo per il quale io mi senta in qualche modo legata a questo romanzo, risieda proprio nella casualità che ci ha uniti. 
Consiglio questo libro a chi ha bisogno di una lettura riflessiva e illuminante, a chi non si ferma alle apparenze o al 'sentito dire', a chi vuole perdersi per poi ritrovarsi, come è successo a me. 






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